Per la Cassazione l’inganno sentimentale può integrare la truffa

Per la Cassazione l’inganno sentimentale può integrare la truffa
15 Luglio 2019: Per la Cassazione l’inganno sentimentale può integrare la truffa 15 Luglio 2019

IL CASO. La Corte d’appello di Brescia aveva confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo con la quale Tizio era stato condannato per truffa aggravata, per “avere con artifizi e raggiri, consistiti nell'avviare una relazione sentimentale con la p.o. (di molto più grande di lui), nel proporle falsamente l'acquisto in comproprietà di un appartamento in (OMISSIS) (e poi di altro appartamento) consegnandole anche fotografie dello stesso, nel richiederle prestiti proponendole la cointestazione di quote societarie, indotto in errore [Caia] circa l'effettivo acquisto dell'immobile e sulla situazione economica della propria società facendosi consegnare ingenti somme di denaro, in tal modo procurandosi un ingiusto profitto con pari danno per la p.o.”. 
Avverso tale sentenza Tizio aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo, tra l’altro, il vizio di “violazione di legge penale (art. 606 c.p.p., lett. b)”, perché “la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto integrato il reato di truffa pur in assenza di un’attività ingannatoria … posto che egli si sarebbe limitato a ricevere prestiti volontariamente elargiti dalla p.o. e che a nulla rileverebbe l’inganno circa i sentimenti provati nei confronti della donna”. 

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 25165/2019, ha rigettato il ricorso, perché “basato su motivi infondati”.
In particolare, ha ritenuto “corretta in diritto” la decisione con cui la Corte d’appello aveva “risposto in senso affermativo” al “quesito [posto dal] ricorrente … se la menzogna riguardante i propri sentimenti amorosi, possa o meno costituire un artificio o raggiro rilevante ai fini della integrazione del delitto di truffa”, sottolineando “che la condotta del ricorrente era consistita non (solo) nel simulare sentimenti d'amore, ma nel coordinare la menzogna circa i propri sentimenti con ulteriori e specifici elementi (il progetto di vita in comune, l'investimento societario) idonei, insieme ad essa, ad avvolgere la psiche del soggetto passivo in modo da assumere l'aspetto della verità ed a trarre in errore”.
Ed infatti, “in casi del genere la truffa non si apprezza per l'inganno riguardante i sentimenti dell'agente rispetto a quelli della vittima, ma perché la menzogna circa i propri sentimenti è intonata con tutta una situazione atta a far scambiare il falso con il vero operando sulla psiche del soggetto passivo. 
A tal proposito va chiarito che, per ricostruire l'elemento oggettivo del reato, si deve tener presente la concatenazione delle note modali della condotta truffaldina e dei conseguenti eventi, nella sequenza indicata dal legislatore artifizi o raggiri - induzione in errore - atto dispositivo - danno patrimoniale e profitto ingiusto, sottolineando in particolare che, ai fini della individuazione della condotta truffaldina, occorre accertare l'idoneità ingannatoria degli artifizi o raggiri ed il nesso causale tra l'inganno e l'errore della vittima la quale, incisa nella sua sfera volitiva da falsi motivi, si determina ad una certa scelta patrimoniale che altrimenti non avrebbe effettuato”.
La Corte ha, però, precisato che “non si intende affermare la rilevanza penale di condotte ingannatorie riguardanti i sentimenti provati, inducenti di per sé a compiere atti dispostivi pregiudizievoli, quanto piuttosto la illiceità di comportamenti che sfruttando la situazione di debolezza della vittima, nella specie coinvolta in una relazione sentimentale, hanno dato luogo a falsi motivi, determinanti la scelta patrimoniale del disponente. 
Va detto infatti che gli artifici - intesi come manipolazione esterna della realtà provocata mediante la simulazione di circostanze inesistenti o, per contro, mediante la dissimulazione di circostanze esistenti - o il raggiro consistente in una attività simulatrice, sostenuta da parole o argomentazioni atte a far scambiare il falso con il vero, sono entrambi mezzi per creare un erroneo convincimento passando il primo attraverso il camuffamento della realtà esterna ed operando il secondo direttamente sulla psiche del soggetto. 
E la giurisprudenza di legittimità ha sempre evidenziato che l'idoneità dell'artificio e del raggiro deve essere valutata in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso, e che l'idoneità degli artifici e raggiri risulta dalla verifica della sussistenza del nesso causale tra azione ed evento, mentre non ha rilievo la asserita mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa essendo sufficiente, per l'esistenza del reato, accertare che l'errore in cui, è caduta la vittima sia stato conseguenza di detti artifici o raggiri (Sez. 2, n. 55180/2018, Rv. 274299)”. 
Ed invero, “è costante principio di legittimità che qualora sia stato accertato il nesso di causalità tra l'artificio o il raggiro e l'altrui induzione in errore non è necessario verificare l'idoneità in astratto dei mezzi usati quando in concreto questi si sono rivelati idonei a trarre in errore (Sez. 2, n. 42941/2014, Rv. 260476; Sez. 2, Sentenza n. 42867 del 20/06/2017, Rv. 271241; Sez. 5 n. 11441/ 1999, rv. 214868; Sez. 1 n. 16264/1990, v. 185974)”.
Facendo applicazione dei suddetti principi al caso di specie, il Giudice di legittimità ha ritenuto che “la Corte territoriale ha dato atto della menzogna dell'imputato sia in relazione ai sentimenti provati, sia in concreto in relazione al proposito di vita in comune, elementi che, complessivamente considerati e riprodotti nel tempo, ingenerarono [in Caia] la falsa convinzione circa l'effettiva realizzazione di quel progetto di vita sul quale si innestarono le disposizioni patrimoniali frutto, appunto, di tale indotto, erroneo convincimento” ed ha, pertanto, concluso per il rigetto del ricorso. 

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